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E' morto Totò Riina

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view post Posted on 17/11/2017, 08:55
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Milanista Eterno

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E' morto Totò Riina, il boss della mafia che fece guerra allo Stato

Il "capo dei capi" è morto alle 3:37 nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma. Aveva appena compiuto 87 anni. Nonostante la detenzione al 41 bis da 24 anni, per gli inquirenti era ancora il capo di Cosa nostra - Da Corleone alle Stragi


Totò Riina, il boss mafioso, capo di Cosa Nostra, è morto alle 3.37 di venerdì 17 novembre. Da 24 anni al 41 bis, è morto nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma. Ieri, 16 novembre, aveva compiuto 87 anni. Nonostante la detenzione per gli inquirenti era ancora il capo di Cosa nostra.

Il boss dei boss
Stava scontando 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del '92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del '93, nel Continente. Sua la scelta di lanciare un'offensiva armata contro lo Stato nei primi anni '90. Mai avuto un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell'omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati. A febbraio scorso, parlando con la moglie in carcere diceva: "Sono sempre Totò Riina, farei anche 3.000 anni di carcere".

La malattia
Riina era malato da anni, ma negli ultimi tempi le sue condizioni erano peggiorate tanto da indurre i legali a chiedere un differimento di pena per motivi di salute. Istanza che il tribunale di Sorveglianza di Bologna ha respinto a luglio. Ieri, quando ormai era chiaro che le sue condizioni erano disperate, il ministro della Giustizia ha concesso ai familiari un incontro straordinario col boss.

L'ultimo processo
L'ultimo processo a suo carico, ancora in corso, era quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, in cui è imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato. Ieri, nel giorno del suo 87esimo compleanno, il figlio Giuseppe Salvatore, che ha scontato una pena di 8 anni per mafia, ha pubblicato un post di auguri su FB per il padre.

SkyTg24

Totò Riina, il boss di Cosa nostra stava scontando 26 ergastoli

Riina nell'aula bunker di Palermo l'8 marzo 1993
Il “capo dei capi” si è spento nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma. Malato da anni e operato due volte nelle scorse settimane, dopo l'ultimo intervento era entrato in coma
Alla moglie, qualche tempo fa, ha detto: “Io sono Salvatore Riina e resterò nella storia”. Alle 3.37 del 17 novembre 2017 si è spento nel reparto detenuti dell'ospedale di Parma il boss Salvatore Riina. Detto “Totò u Curtu”, per la sua altezza di 1 metro e 58, o la “belva”, per la sua crudeltà, o il “capo dei capi”, per il suo potere nella mafia. Aveva compiuto 87 anni il giorno prima. Operato due volte nelle scorse settimane, dopo l'ultimo intervento era entrato in coma. Stava scontando 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi. E, nonostante la detenzione al 41 bis da 24 anni, per gli inquirenti era ancora il capo di Cosa nostra.

In carcere per la prima volta a 18 anni
Riina è nato a Corleone il 16 novembre del 1930 da un famiglia di contadini. Ha perso presto il padre e il fratello, morti mentre cercavano di estrarre della polvere da sparo da una bomba inesplosa. È Luciano Leggio, suo compaesano che per un errore di trascrizione di un brigadiere è passato alla storia come Luciano Liggio, a farlo entrare in Cosa nostra. Prima di quell’incontro Riina aveva alle spalle solo qualche furto, poca roba. Poi il “battesimo” criminale e un'accusa grave: l'omicidio di un coetaneo, durante una rissa, per cui viene condannato a 12 anni. Così Riina, poco dopo aver compiuto 18 anni, finisce in carcere per la prima volta.

L’inizio della latitanza
“Totò u curtu” esce dall'Ucciardone nel 1956, a pena scontata solo in parte, e viene arruolato nel gruppo di fuoco di Leggio, che dietro di sé lascia una lunga scia di sangue. La lotta per il potere di “Lucianeddu” e dei suoi comincia nel 1958 con l'eliminazione di Michele Navarra, medico e boss di Corleone. Leggio ne azzera il clan e ne prende il posto. Riina diventa il suo vice. Nella banda c'è anche un altro compaesano, Bernardo Provenzano. Nel dicembre del 1963 Riina viene fermato da una pattuglia di carabinieri in provincia di Agrigento: ha una carta di identità rubata e una pistola. Torna all'Ucciardone e ne esce, dopo un'assoluzione per insufficienza di prove, nel 1969. Mandato fuori dalla Sicilia al soggiorno obbligato, non lascerà mai l'Isola, scegliendo una latitanza durata oltre 20 anni.

La scalata a Cosa nostra
Da ricercato inizia la sistematica eliminazione dei nemici: nel 1969, con Provenzano e altri uomini d'onore, uccide a colpi di mitra il boss Michele Cavataio e altri quattro picciotti in quella che per le cronache sarà la strage di viale Lazio. Due anni dopo è lui a sparare contro il procuratore di Palermo Pietro Scaglione. L'ascesa in Cosa nostra, ottenuta col sangue e la violenza - sarebbero oltre 100 gli omicidi in cui è coinvolto e 26 gli ergastoli a cui è stato condannato - è inarrestabile. E va di pari passo con i primi delitti politici: l'ex segretario provinciale della dc Michele Reina e il presidente della Regione Piersanti Mattarella. Dopo la cattura di Leggio, Riina prende il suo posto nel triumvirato mafioso assieme a Stefano Bontate e Tano Badalamenti. Farà poi allontanare quest'ultimo, accusandolo falsamente dell'omicidio di un capomafia nisseno.

Gli anni ‘80
Ma è negli anni ‘80 che il ruolo suo e dei suoi, i “viddani”, i villani di Corleone che hanno sfidato la mafia della città, diventa indiscusso. Soldi a fiumi con la droga, gli appalti e la speculazione edilizia. E una conquista del potere a colpi di omicidi eclatanti e lupare bianche. È la seconda guerra di mafia. Il 23 aprile 1981 cade Stefano Bontande, “il principe di Villagrazia”, il boss che vestiva in doppiopetto, frequentava i salotti buoni della città e controllava i traffici della Cosa nostra palermitana. Massacrato nel suo regno e nel giorno del suo compleanno. Diciotto giorni dopo, tocca al suo alleato Totuccio Inzerillo, poi al figlio e al fratello: i parenti superstiti fuggono negli Stati Uniti e hanno salva la vita a patto di non tornare più in Sicilia. In poche settimane restano a terra decine di cadaveri.

Il maxiprocesso e la guerra allo Stato
Riina “la belva”, come lo chiama il suo referente politico Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo del sacco edilizio, è feroce e spietato. Condannato in contumacia all'ergastolo durante il “maxiprocesso”, viene inchiodato dalle rivelazioni del primo pentito di rango, Tommaso Buscetta. Riina si vendica facendogli uccidere undici parenti. Quando il maxiprocesso diventa definitivo e cominciano a fioccare gli ergastoli per gli uomini d'onore, il padrino dichiara guerra allo Stato. Una sorta di resa dei conti: con la condanna dei nemici storici come i giudici Falcone e Borsellino, a cui si doveva il maxiprocesso, e di chi aveva tradito. La lista di chi andava eliminato era lunga e contava anche i politici che, secondo il boss, non avevano rispettato i patti. È la stagione delle stragi, che il capo dei capi vuole nonostante non tutti in Cosa nostra siano d'accordo. Il 12 marzo muore Salvo Lima, proconsole andreottiano in Sicilia.Il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Strage di Capaci, 25 anni dalla morte di Giovanni Falcone.

L’arresto nel 1993
Al boss restano però pochi mesi di libertà: il 15 gennaio del 1993 i carabinieri del Ros lo arrestano dopo 24 anni di latitanza. La moglie Ninetta Bagarella, che ha trascorso con lui tutta la vita, torna a Corleone con i quattro figli: Lucia, Concetta, Giovanni e Giuseppe Salvatore, tutti nati in una delle migliori cliniche private di Palermo. Gli ultimi periodi della latitanza, la famiglia li trascorre in una villa degli imprenditori mafiosi Sansone, a due passi dalla circonvallazione. I carabinieri ammanettano Riina poco lontano da casa: un arresto su cui restano molti punti oscuri. La versione ufficiale lo vuole “consegnato” da un suo ex fedelissimo, Baldassare Di Maggio, il pentito che poi avrebbe raccontato del bacio tra Riina e Andreotti. Ma sulla cattura del capo dei capi gravano ombre pesanti: a tratteggiarle sono gli stessi magistrati, che dal 2012 lo processano per la cosiddetta trattativa Stato-mafia in cui il boss avrebbe avuto, almeno inizialmente, un ruolo. Sarebbe stato il compaesano, l'amico di una vita, Bernardo Provenzano - più cauto e, dicono i pentiti, contrario all'attacco frontale allo Stato - a venderlo ai carabinieri barattando in cambio l'impunità.

Nessun cedimento
Riina non ha mai mostrato alcun segno di redenzione, di cedimento. Nessun passo indietro. Fino alla fine. Tre anni fa, conversando durante l'ora d'aria con un compagno di detenzione, ha continuato a rivendicare le stragi, a minacciare di morte magistrati, a ricordare quando fece fare a Falcone “la fine del tonno”. Al processo trattativa, citato dalla Procura, è rimasto in silenzio. “Io non mi pento, a me non mi piegheranno”, ha detto qualche mese fa parlando con la moglie nel carcere di Parma. “Io non voglio chiedere niente a nessuno – le diceva riferendosi alle istanze che il suo legale avrebbe voluto presentare – mi posso fare anche 3mila anni non 30 anni”. Una conversazione, quella dei due coniugi, che ha confermato ai giudici, chiamati a decidere sulla compatibilità col carcere delle condizioni di salute del boss, che il capo dei capi era ancora vigile e lucido. E consapevole del suo ruolo. Parlando del direttore del carcere – annota il tribunale che ha respinto la richiesta di differimento pena per il padrino – “ha toccato il proprio petto a indicare se stesso e ha sostenuto di essere anche lui un capo”.

Era ancora il capo di Cosa nostra
E che il capo di Cosa nostra fosse ancora lui l'ha scritto, a luglio, anche la Dia nella sua relazione semestrale sulla criminalità organizzata. “Il boss corleonese continuerebbe a essere alla guida di Cosa nostra – si leggeva nel documento –, a conferma dello stato di crisi di un'organizzazione incapace di esprimere una nuova figura in sostituzione di un'ingombrante icona simbolica”. Con la morte di Riina restano senza risposte molte domande: sui rapporti mafia e politica, sulla stagione delle stragi, sui cosiddetti delitti eccellenti, sulle trame che avrebbero visto Cosa nostra a braccetto con poteri occulti in una comune strategia della tensione.

SkyTg24
 
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view post Posted on 17/11/2017, 10:23
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Milanista Eterno

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Non commento altrimenti mi bannano da internet
 
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commandostigre
view post Posted on 17/11/2017, 11:40




Non ho capito perché mettere questa notizia
 
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view post Posted on 17/11/2017, 11:59
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Milanista Eterno

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Beh, è storia italiana. Ne sta parlando tutto il Mondo. Se qualcuno sente il bisogno di dire qualcosa, è giusto che abbia lo spazio anche qui. Se così non fosse, il topic finisce nel dimenticatoio senza problemi.
 
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view post Posted on 17/11/2017, 12:00
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commandostigre
view post Posted on 17/11/2017, 12:47




Per me non è storia ma solo schifo,non meritano tanta importanza questo è grave
 
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view post Posted on 17/11/2017, 14:26
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Milanista Eterno

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view post Posted on 21/11/2017, 13:56
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LA CHIESA: «NO A FUNERALI PUBBLICI, CONTINUIAMO AD EDUCARE LE COSCIENZE»

No a funerali pubblici. In ogni caso la sua morte non equivale alla sconfitta della mafia. E dunque non bisogna abbassare la guardia, ciascuno assumendosi le proprie responsabilità. La notizia della scomparsa di Totò Riina ha registrato diverse prese di posizione anche in campo ecclesiale. «Ci sono due motivi che orientano la Chiesa ad evitare i funerali pubblici di personaggi come Totò Riina», ha affermato all'agenzia Sir monsignor Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali e sottosegretario della Conferenza episcopale italiana (Cei), a proposito di possibili funerali pubblici del mafioso Totò Riina. «Da un lato, c’è la solidarietà: in primo luogo con le vittime, alcune delle quali sono dei simboli per il nostro Paese – penso a Falcone e Borsellino e a tanti magistrati, poliziotti e sacerdoti che hanno pagato con la vita la lotta alla mafia -, e anche con quella parte di società civile che sta reagendo grazie all’impegno, ad esempio, di Libera di don Luigi Ciotti e di tanti pastori, anche vescovi, come monsignor Francesco Oliva e monsignor Michele Pennisi. Dall’altro lato, c’è la volontà di camminare con la società, con i tanti pastori che hanno pagato o stanno pagando il loro porsi contro la mafia e che si impegnano a una presenza di Chiesa che educhi le coscienze a reagire a una mentalità mafiosa cambiando proprio cultura».
«Di fronte a una società e a una Chiesa che educa alla legalità e alla giustizia, i segni sono decisivi», ha chiarito monsignor Maffeis. «Quindi non ci sostituiamo al giudizio che è unicamente di Dio, però non possiamo agire in palese contraddizione con questo cammino di educazione delle coscienze». Se, poi, «la famiglia desidera un momento religioso, sarà il vescovo a valutare l’opportunità pastorale e il coinvolgimento di un sacerdote per un momento di preghiera e un accompagnamento della salma». Questo, sottolinea don Maffeis, “non è accanimento sulla persona, ma riguarda una comunità e una società che si danno la responsabilità di educare a giustizia e legalità e a contrastare la mentalità mafiosa anche attraverso i segni”. Con funerali pubblici “si creerebbe confusione e ci si esporrebbe anche a una strumentalizzazione. In questo modo non ci sarebbe più spazio per la preghiera in quanto tale”.

«La fatica di vivere, che è diventata ancora peggiore con la presenza della mafia, della ‘ndrangheta e della malavita possa spingere tutti ad assumersi le proprie responsabilità e a pensare che le cose cambieranno non solo perché è morto Riina. Chi è chiamato ad amministrare lo faccia tenendo presente la lealtà, la legalità e soprattutto il rispetto delle istanze di tutti». Lo ha affermato questa mattina monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, rispondendo alle domande dei giornalisti a margine della presentazione a Roma del Rapporto 2017 “Futuro anteriore” realizzato da Caritas italiana su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia.
«Con la morte di Totò Riina è finito il delirio di onnipotenza del capo dei capi di cosa nostra, ma la mafia non è stata sconfitta e quindi non bisogna abbassare la guardia», ha commentato a sua volta monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale. «Il compito della Chiesa – prosegue – è quello di educare le coscienze alla giustizia e ala legalità e di contrastare la mentalità mafiosa. Ancora non ho informazioni se e quando la salma di Riina sarà trasferita a Corleone. Trattandosi di un pubblico peccatore non si potranno fare funerali pubblici. Ove i familiari lo chiedessero si valuterà di fare una preghiera privata al cimitero».

http://www.famigliacristiana.it/articolo/t...-pubblici-.aspx

Totò Riina, slitta a domani il trasferimento della salma a Corleone - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/...erimento-salma-


Slitta a domani la partenza della salma di Totò Riina dall'ospedale di Parma, destinazione Corleone. A quanto si apprende le pratiche amministrative per il trasferimento sono ormai concluse, ma per esigenze organizzative non è possibile partire in giornata per la Sicilia. La salma rimane custodita nella Medicina legale dell'ospedale emiliano, dove restano di guardia le forze dell'ordine. La Procura firma il nulla osta La Procura di Parma ha firmato il 'nulla osta' per il trasferimento della salma di Riina, morto il 17 novembre nel reparto detenuti dell'ospedale emiliano. Secondo Indiscrezioni non ci saranno funerali ma la salma di Riina dovrebbe essere benedetta dal parroco del piccolo comune, Fra Giuseppe Gentile, durante una breve cerimonia prima della tumulazione nel cimitero. Il parroco ha già celebrato in passato le nozze della figlia minore di Riina, Lucia. Fra Giuseppe intende invitare i familiari di Totò Riina a fare "un passo avanti, forte, significativo, a saper guardare a quella morte come una vita nuova che deve rinascere", "Se non l'hanno fatto prima, lo facciano ora. E' necessario per tutti noi, per la nostra città che ha bisogno di essere liberata", sostiene il religioso. Familiari vittime: inasprire il 41 bis Intanto l'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili torna a chiedere l'inasprimento del 41 bis, per impedire che i detenuti per mafia possano partecipare con i pizzini alla scelta del nuovo capo di Cosa Nostra. Riina ultimo capo dei capi? Per la mafia "non è più tempo di capi, torneremo agli anni Ottanta", sostiene il nuovo procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho in un'intervista al Messaggero. E anche il ministro della Giustizia propende per l'idea che sia finita l'era dell'uomo solo al comando: "Mi convince la tesi secondo cui la mafia non si ricostituirà più con una struttura gerarchica, con il capo dei capi". Alla strategia della "mimesi" adottata da Cosa Nostra "credo sia funzionale una mafia senza una commissione centrale e che in qualche modo si spalma sul territorio", spiega il ministro, che non esclude nemmeno un cambiamento radicale: "La mafia potrebbe cambiare e trovare come punti di riferimento persone che non sono più siciliane, né calabresi né campane". - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/...ca37430b96.html

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/...ca37430b96.html
 
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