| Roma - È stato un terremoto. Che sbriciola il bipolarismo degli ultimi vent’anni, i poli sono ormai quattro, e restituisce agli elettori l’ingovernabilità del Paese. Le elezioni 2013 sbattono una pesante porta in faccia ai partiti tradizionali e alla loro politiche. E vero che il centrosinistra ha vinto alla Camera e al Senato, per una manciata di voti sul centrodestra tanto che Angelino Alfano, segretario Pdl, chiede al ministero di «non ufficializzare i dati e di proclamare «una sostanziale parità». Ricevendo dal Pd una risposta secca: «Abbiamo più voti, il Pdl non esasperi il clima». Ma il vero trionfatore è un altro (e due gli sconfitti, Bersani e Monti).
Chi fa la storia di queste consultazioni è il movimento di Beppe Grillo: diventa il primo partito alla Camera, superando sul filo di lana il Pd: 25,5% e 8 milioni 686 mila voti contro 8 milioni 641 mila dei Democratici. È secondo anche al Senato, sempre alle costole del Pd. Agli annali passerà anche la rimonta di Silvio Berlusconi che si attesta sul 29%. Il Cavaliere riesce nell’obiettivo di pareggiare al Senato (117 seggi contro i 119 del centrosinistra). Bersani e Sel guadagnano 280 mila voti in più: 31,6 contro il 30,7%), ma che tuttavia non gli consentirà di governare. Monti è al 9,1% (18 seggi), Grillo al 23,8% e 54 senatori.
Testa a testa. Anche alla Camera il Cavaliere, in coalizione con la Lega - che resta ancorata al 4,1%, mentre cinque anni fa aveva raccolto l’8,3%, - e i Fratelli d’Italia di La Russa e Meloni (2%, entra alla Camera), se l’è giocata spalla a spalla con Bersani e Vendola: alla fine c’è solo mezzo punto di distanza e soltanto 100 mila voti tra i due schieramenti, a favore del centrosinistra: 29,5% rispetto al 29.1%. Poco davvero.
Il Cavaliere tiene dunque il suo zoccolo duro ma perde una valanga di voti rispetto al 2008: aveva il 38,2%, ora si attesta sul 21,4%. Un 17% di suffragi che hanno preso altre strade. Quei voti non sono stati comunque intercettati dal Centro di Monti (se non in minima percentuale) e neppure dai Democratici. Un po’ si sono dispersi nell’astensionismo e il resto ha ingrossato il copioso raccolto del M5S.
Bersani. Il leader Pd perde persino nella sua Bettola (e a Siena prende una brutta botta scontando lo scandalo Mps), mentre già pregustava la leadership e Palazzo Chigi. Pd e Sel portano comunque a casa un risicato successo alla Camera (29,9% contro il 29 del centrodestra) che gli consente di avere la maggioranza a Montecitorio acchiappando il premio di maggioranza del 55% e quindi i 340 seggi.
Fuori dal Parlamento finisce per la seconda volta consecutiva la sinistra radicale: Rivoluzione civile alla Camera raccoglie solo il 2,3%: se si pensa che era sostenuto da quel che restava di Idv e di Rc, è una debacle. Non entrano neppure i partiti di Gianfranco Fini, Fli (0,5%) e Fare-Fermare il declino di Giannino che si ferma all’1,1%. Ma il giornalista, finito nel mirino del Pdl, si prende la rivincita: «Con i nostri voti abbiamo fatto perdere Berlusconi».
L’ altro sconfitto è il premier Mario Monti che galleggia intorno all’8,3% (più 1,8% Udc), in totale la coalizione ottiene il 10,6%: quota ben distante dal risultato minimo del 15% che si era prefisso e che lo rende ininfluente. Il premier si dice «soddisfatto» ma è la sua è una sberla, inutile girarci intorno.
Ingovernabilità. È un quadro che consegna un Senato ingovernabile: per mettere su un esecutivo ce ne vogliono almeno 158: il pareggio tra Pd e Pdl non potrà contare sull’aiuto dei 18 seggi di Monti (non bastano) e i 54 del M5S.
Il Pdl vince in Campania, Veneto, Puglia, Sicilia, Lombardia, Calabria, Abruzzo ma ha perso al fotofinish il Piemonte. Adesso l’attenzione si sposta sulle regionali: nel Lazio e nel Molise ci si attende la vittoria del Pd, in Lombardia gli exit poll danno in vantaggio il leghista Maroni su Ambrosoli. Ma chi si fida più agli exit poll che hanno sbagliato di brutto le previsioni? Hanno insistito su una larga vittoria del centrosinistra alla Camera e più ampia al Senato che alla prova del voto non si è verificata.
Affluenza. Il 75,1% è di cinque punti inferiore a quella del 2008: una flessione netta ma non uno smottamento. Secondo l’istituto Cattaneo, che si occupa di dinamiche elettorali, il dato sull’astensionismo «non sorprende e non allarma»: è vero che si è verificato un calo rispetto alle precedenti Politiche ma un notevole aumento in rapporto alle elezioni degli ultimi anni. Considerando i recenti scandali e la sfiducia generalizzata non è certo un dato eclatante, anche se mitigato da Beppe Grillo».
Pd penalizzato da Grillo. A parere dello stesso istituto il Movimento 5 Stelle ha risucchiato una parte consistente dell’elettorato Pd. Quando al partito democratico «ha mancato nella capacità di rinnovarsi, ha bruciato la carta Renzi senza capire che il 40% delle persone che lo avevano votato al secondo turno delle primarie erano molto critiche». E Monti? In Italia i partiti della «razionalità» non hanno fortuna, dal Partito d’Azione al Pri di La Malfa: gli italiani «votano molto con la pancia e poco con la testa».
Un terreo Pierferdinando Casini commenta sin dal primo pomeriggio il suo 1,8% (aveva il 5,8 % nel 2008) che gli consentirà di restare alla Camera solo in base al peggior risultato della sua coalizione: «Nella vita si vince e si perde. Sapevamo di dare il sangue per la coalizione». Gianfranco Fini è addirittura fuori dal Parlamento. E ora che accadrà? Centro di Monti e Pd, Pdl e montiani non vogliono un ritorno alle urne immediato.
Tutti si dichiarano per la governabilità. Già, ma quale? Quando Letta chiede «responsabilità», cosa intende? Un governissimo con Pdl e montiani? Vendola “chiama” Grillo. Peraltro il leader-garante di M5S, dalla casa-sede di Sant’Ilario a Genova, ne è convinto: «Ma sì, faranno l’inciucio. Ma si mettano il cuore in pace, noi andiamo avanti senza inciuci. Comunque ridare il governo al Cavaliere è un crimine contro la galassia». Poi: «È una fantastica avventura. Ma queste sono solo prove generali». Il Movimento 5 Stelle è il primo partito in molte regioni, persino nella rossa Liguria. Ma anche in Sicilia, in Sardegna, nelle Marche, nel Veneto è boom, in quattro province.
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