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Sotto la lente - Andrea e i poltronissimi: parole come pietre.

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view post Posted on 11/7/2014, 10:09
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il piccolo Buddha

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Premetto può stare antipatico lui e la famiglia però ha ragione quando dice che ci vuole una riforma e che certa gente non dovrebbe averci a che fare col calcio.

Aggiungo che il sistema democratico è il cancro di questo calcio. Tant'è che porta solo all'immobilismo.
Ci vorrebbe un presidente eletto dalla lega di serie A e dalla FIGC assieme che abbia poteri di Imperio.
Che possa fare riforme in tempi brevissimi.
Servirebbe disapplicare la sciagura della legge Melandri al calcio italiano e contrattare a livello europeo una tassazione unificata. Non che in Turchia paghi il 10% in Germania il 27% in Inghilterra il 25 in francia il 50 ed in italia 58%
O addirittura come in Spagna che ha usufruito di una cosa mostruosa!!! Ovvero che i campioni che arrivavano in Spagna erano Tax Free. Cioè non pagavano tasse. Ed è così che hanno costruito i loro squadroni ed i loro bilanci. Campioni a stipendi gratis. Il re di Spagna che compra il complesso sportivo madrileno per 1miliardo di euro e poi glielo rivende a 1/10....


CITAZIONE
Parole come pietre, quelle di Andrea Agnelli.
Uno che parla raramente, che sfugge i microfoni appostati qua e là, quelli tanto cari alla cravatta gialla di Galliani.
Se e quando parla, è in sedi importanti, istituzionali, all'Italia e all'Estero; e lascia il segno.
L'ha fatto stavolta alla Camera dei Deputati in occasione di un convegno sull'impatto economico dello sport in Italia cui partecipava anche il presidente del Coni Malagò.
Un attacco frontale al vecchiume e al gattopardismo del nostro calcio, un severo quanto accorato monito, pur nello stile sobrio che lo contraddistingue, a cogliere l'ennesima occasione, che potrebbe sempre essere l'ultima, visto quanto corre il mondo intorno a noi, per ridare vita (e credibilità) al pallone di casa nostra: "E' importante raggiungere un livello di armonizzazione fiscale con i maggiori competitor internazionali. Questa dovrebbe essere la direzione per un principio di lealtà competitiva ad alto livello. Il grosso del nostro bilancio è un contributo diretto allo stato, ma si deve avere la consapevolezza che in un periodo storico come quello attuale, non è il momento di discutere di sgravi. Piuttosto ci si deve chiedere come far crescere il sistema calcio. Il valore complessivo della serie A è circa di un miliardo e 700.000 euro di fatturato, ma con il sostegno delle istituzioni politiche e dei vertici dello sport dovremo cercare di portarlo a 3.400.000. Servono nuovi impianti sportivi e l'auspicio è che nei prossimi anni, con una facilitazione dell'iter amministrativo, ci sia un fiorire di queste strutture. Abbiamo poi una valanga di norme e forse, vista l'importanza dello sport nel sistema economico italiano, un testo unico dello sport potrebbe aiutare. Una governance diversa sarebbe quindi essenziale. Critichiamo la legge Melandri con eccessiva semplicità, perché è giusta per le varie Federazioni, ma forse si dovrebbe riconoscere la specificità di alcuni sport. Infine la tutela dei marchi, perché le grandi società sportive soffrono oltremodo delle contraffazioni".
Problemi concreti, enunciati con precisione; e indirizzi, punti di partenza per discuterne e arrivare, già con l'ultimo treno, ad una soluzione.
Un leit motiv che sta ripetendo da tempo, vox clamantis in deserto.
Ma adesso c'è di peggio, sottolinea: "Non è però questo il momento più adatto per parlarne, perché siamo nel pieno di una crisi politica". Già con Abete e Prandelli che, fatto il disastro, hanno abbandonato la nave al loro destino; il primo rimanendo però attaccato alle poltrone in Coni e Uefa (perché senza poltrone non si vive in quel mondo, basta solo scegliere le più comode), il secondo andando a raccattare un remunerativo ingaggio in Turchia.
E così l'11 agosto occorrerà scegliere il nuovo numero uno Figc: "Noi avevamo già previsto un'assemblea per l'11 agosto che era un'assemblea tecnica e di servizio - premette - Tramutarla in un'assemblea elettiva è un gesto irresponsabile. Su questo non sono d'accordo".
E soprattutto non è d'accordo sul candidato del regime, il settantunenne Tavecchio, le cui idee sono ancora più vecchie della sua età anagrafica: "Sicuramente non serve un traghettatore, quindi l'identikit è quello di una persona che ci possa portare in un'altra dimensione. Io siedo nel Competitions Committee dell'Uefa e nell'Executive Board dell'Eca, dove abbiamo la direzione di due grandi ex calciatori, Platini e Rumenigge. Quando uno di loro entra in una stanza in cui si parla di calcio, la gente schizza in piedi perché ne riconosce immediatamente l'autorevolezza. Fatico a pensare che lo stesso trattamento possa essere riconosciuto a Tavecchio. Io auspico che ci sia quanto più consenso possibile verso una persona di grande spinta riformista,
perché il calcio ha bisogno di un rinnovamento radicale e profondo".
Così parlo Andrea, esplicito, chiaro, netto, senza peli sulla lingua, senza sofismi.

La cosa non è piaciuta ai papaveri poltronissimi e, a sostegno del poltronato Tavecchio e della sua polverosa candidatura, si è precipitato un altro poltronissimo, anche lui già coi tarli (e anche lui con i suoi begli scheletri nell'armadio), il quale, lungi dall'opporre agli argomenti di Andrea delle contro-considerazioni, o di raccoglierne la sfida con proposte ad hoc, non ha saputo far di meglio che scagliarsi, e con toni calunniosi, nei confronti di Andrea Agnelli, della sua Famiglia e della Fiat; dimenticando forse che la Fiat sta facendo da sponsor alla Nazionale di calcio e alla Figc e quindi quei signori che, a suo dire, "hanno spolpato l'Italia", pagano anche il suo stipendio.

E dimenticando che il giovane Andrea, che ha esattamente la metà dei suoi anni, nei suoi 38 anni e mezzo ha dimostrato nei fatti e in concreto un grande spirito imprenditoriale e al contempo statura istituzionale a 360°, ottenendo, nei vari campi in cui si è cimentato, risultati che tutti i poltronissimi insieme possono solo sognare. Cognome o non cognome. E comunque l'andare al tornio, che Macalli sembra considerare un disvalore, è molto più nobile che rimanere incollati alle poltrone a dispetto dei santi, cioè dei risultati.
Perché, se vogliamo parlare della Lega Pro, dal 2007 ad oggi è fallita una sessantina di società; senza contare tanti stipendi non pagati e il problema delle scommesse; e il tutto senza recare alcun giovamento al sistema calcio Italia.
E tuttora l'arroccarsi a difesa dei propri campanili osteggiando il progetto delle seconde squadre vuol dire non comprendere che il sistema calcio è un organismo le cui varie parti concorrono allo sviluppo generale (avrà mai letto l'apologo di Menenio Agrippa?).
Sulle seconde squadre ebbe a dire, già nel 2012: “Le seconde squadre in Italia non le vedranno mai, fino a quando ci sarò io alla testa della Lega è fuori da ogni discussione. Noi non facciamo maturare i salami per conto di altri: se vogliono che altri li maturano è necessario che paghino e profumatamente. Punto e non si discute. La mia ricetta è semplice: far giocare i ragazzi dei nostri vivai che sono più bravi di quelli delle Primavere di Serie A. Ed in questo modo facciamo anche un’opera sul territorio".
Ed ora ha aggiunto: "Quelli che hanno bloccato il calcio italiano fanno giocare il 60% di stranieri nelle loro squadre, e il 90% sono pippe. Parlano di squadre B, ma quanti giovani hanno tirato fuori dai loro vivai? Da me non farebbero nemmeno i portinai".
Certo, perché 'l'ognuno per conto suo' ha portato a questo: fallimenti in Lega Pro, ragazzi che, esaurita l'esperienza della Primavera, non ancora pronti per le grandi ribalte, si sono persi per strada, e nemmeno dai suoi fecondi vivai è arrivato nessun aiuto alla Nazionale.

Ma lo stagno del nostro calcio è talmente piccolo e fermo che il sasso lanciato da Andrea ha sollevato una vera onda anomala, per toni e contenuti. Offensivo nei riguardi della Famiglia Agnelli era stato Macalli, ancor più provocatorio è stato il vice di Tavecchio, Alberto Mambelli, che certamente nella scalata del suo superiore intravede a sua volta l'opportunità per un'ascesa al trono della LND: "Andrea Agnelli è proprio un gran maleducato. Come si permette di dire che Tavecchio non ha autorevolezza, che nemmeno lo conosce? Agnelli è un incompetente, oltre che una persona poco rispettosa. Secondo lui, i problemi del calcio li dovrebbero risolvere Albertini, Vialli, Maldini o Cannavaro? Questa è gente che non sa nemmeno cosa siano gli Allievi e gli Esordienti. Poi inviterei Albertini a dar seguito al proprio progetto, visto che, prima di partire per il Brasile, da capo delegazione di una spedizione fallimentare, aveva annunciato le dimissioni, che poi stranamente non ha dato. Sanno tutti che sono juventino e mi piange il cuore vedere la Juve gestita male da questo rampollo poco rispettoso di persone che nemmeno conosce. Con Barbara Berlusconi fa parte di quella generazione di quarantenni che non distinguono il pallone dai cocomeri. Sono due illustri signor nessuno piazzati lì non si sa perché. Non dimentichiamo poi da dove viene la Juve, ovvero da calciopoli e dalla B. Agnelli, che non ha nulla da spartire col nonno, invece di intentare cause contro la Federcalcio da 450 milioni di euro, farebbe bene a rispettare le sentenze della giustizia".
Basterebbero queste parole per qualificare l'individuo, sicuramente non innamorato della Vecchia Signora (ma mica è un obbligo), ma altrettanto sicuramente allergico alla giustizia, visto come si è condotta la giustizia domestica del circolo della caccia nella storiaccia di Calciopoli (condanne senza prove, scudetti tolti e regalati, le colpe dell'Inter ignorate e prescritte, la radiazione di Moggi e Giraudo che grida vendetta di fronte ai casi di Preziosi e Sabatini, l'incompetenza dichiarata); che poi le condanne la Juve le ha rispettate' (sin troppo supinamente, ahimè, magari avesse presentato quel ricorso al Tar! Forse la resa dei conti sarebbe arrivata prima) facendosi la serie B ma, alla luce delle verità e delle porcherie emerse, non può accettare la disparità di trattamento ed esercita il suo legittimo diritto a chiedere giustizia e a tutelare i diritti e gli investimenti dei suoi azionisti.
A questo punto inutile infierire sulla battuta del pallone e dei cocomeri, perché Andrea a pane e calcio è cresciuto. Tutto il resto è noia.

E adesso, visto il disastro Italia, visto invece quanto di positivo accade fuori dai nostri confini, si pensa di cercare all'estero, negli esempi altrui, una strada per uscire dall'impasse: quasi la pillola miracolosa.
Premesso che bisogna anzitutto cambiare radicalmente mentalità, perché con il metodo Macalli non si va da nessuna parte: fare sistema è necessità imprescindibile.
Poi in realtà non si tratta di copiare questo o quel modello, che sia quello inglese o quello spagnolo o inglese o francese; certo, è molto utile prendere visione delle buone pratiche altrui, ma la ricetta universale non ce l'ha nessuno; e poi abbiamo in Italia persone in grado di analizzare la realtà del nostro calcio, evidenziarne senza pietismi le distorsioni e, facendo tesoro delle prassi 'studiate, trovare una soluzione, pur graduale ma radicale nella sostanza, ai problemi.
Per questo compito non servono poltronissimi.
 
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